Caterina Vivarelli pianistacaterina vivarelli 5

Lezioni di piano Vivarelli

Negli ultimi anni ho sviluppato un metodo didattico personale, volto a migliorare e velocizzare l'apprendimento motorio nella pratica pianistica, e che in particolare tiene conto delle interazioni neurofisiologiche implicate nello studio del pianoforte.

Oggi non è difficile leggere metodi e trattati pianistici, sia cartacei che digitali, vista la facilità di reperire video e lezioni on-line. Tuttavia, nel corso della mia ormai lunga attività di docente, sono giunta alla conclusione che ogni insegnamento, per essere efficace, debba necessariamente partire dall'attenta osservazione dell’allievo e adattarsi alle sue peculiarità.

Le ultime ricerche dal punto di vista delle neuroscienze mettono in luce la possibilità quasi infinita del nostro cervello di creare sinapsi, cioè collegamenti, e questa formidabile capacità sta alla base della mia ricerca sulla didattica del pianoforte.


Qui sotto se ne possono leggere alcuni brevi estratti: chi lo desiderasse, può integrarne la lettura scaricando Il tasto giusto, un breve compendio delle mie riflessioni didattiche.


 

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Nel mio insegnamento parto da una funzione fondamentale non solo del nostro organismo ma anche dell'esecuzione e dello studio del pianoforte, funzione vitale eppure troppo spesso involontariamente trascurata, cioè la respirazione.

Essa sta alla base della maggior parte dei problemi che sorgono durante lo studio, anche quando non è "matto e disperatissimo" (ma spesso, purtroppo, quello dei pianisti lo è!). Infatti, l’errato uso dei muscoli preposti al movimento e la scarsa percezione del proprio corpo rendono l'esecuzione faticosa e talvolta persino dolorosa [...]

Una delle capacità più difficili da acquisire è senza dubbio quella di ascoltarsi. Per un non musicista sembra un controsenso, ma chiunque suoni uno strumento sa che riuscire a concentrarsi contemporaneamente sulle difficoltà esecutive e su un ascolto costante in tempo reale del risultato non è affatto scontato.

Per noi pianisti si tratta di un ascolto "stereofonico", quindi ribadisco l'importanza dello studio a mani separate, che consente un controllo più attento e puntuale.

Incoraggio inoltre i miei studenti a registrarsi, in modo da ottenere un'obiettività impossibile da raggiungere durante l'esecuzione. All'inizio dello studio è molto arduo riuscire a dividere l'attenzione fra le difficoltà implicite nel suonare e la percezione esatta del risultato sonoro [...]

Per ottimizzare il tempo che dedichiamo allo studio, possiamo certamente leggere il brano prima a mani unite (difficilmente un pianista non alle prime armi riesce a resistere alla curiosità... la nostra "bulimia" di note è più forte di qualunque precetto!), ma immediatamente dopo, studieremo a mani separate, affrontando con molta pazienza anche i brani apparentemente più semplici.

Questo ci consentirà di limitare i danni derivanti da una lettura frettolosa e superficiale, che comporta troppo spesso errori di note e diteggiature non funzionali.

Poiché il nostro cervello non è una lavagna cancellabile con un colpo di spugna, ma piuttosto assomiglia ad una pellicola fotografica, sulla quale si imprimono nozioni giuste o sbagliate, è molto più rapido e sicuro l’apprendimento con lo studio a mani separate, che ci consentirà di non dover correggere eventuali errori a distanza di mesi [...]

Troppe volte leggiamo frettolosamente e senza prestare molta attenzione allo spartito, rischiando di suonare in modo scorretto o anche soltanto non ottimale dal punto di vista della diteggiatura. Non mi stancherò mai di ripetere che, dopo la curiosità e l'entusiasmo della prima lettura, dobbiamo subito affrontare lo spartito con molta pazienza, leggendo a mani separate e lentamente anche i brani apparentemente semplici, in modo da poter ricevere il giusto "imprinting".

Per taluni questo può sembrare un consiglio superfluo, ma dopo anni di docenza, spesso constato che alcuni colleghi sono decisamente contrari allo studio a mani separate, considerandolo inutile, se non dannoso. La loro spiegazione è che il cervello quando presiede al movimento delle due mani agisce in modo differente rispetto a quando comanda una mano sola.

Ovviamente, niente è più falso di questa convinzione, poiché l'attenta osservazione dei gesti e prima ancora delle note e delle diteggiature, ottenibile esclusivamente con lo studio a mani separate, in realtà accelera il processo di apprendimento di un brano e diminuisce drasticamente il margine d'errore. Se tuttavia scopriamo di aver letto e studiato una o più note sbagliate, anche se l'errore si é ormai radicato, possiamo "resettare" il nostro cervello ristudiando a mani separate il passaggio, controllando la diteggiatura (e se possibile, variandola, cosa che favorisce la correzione), poi analizzandolo armonicamente e infine scomponendolo in cellule o micro-cellule (vedi paragrafo successivo) [...]

Quando riteniamo di aver raggiunto un buon controllo muscolare e respiratorio, possiamo affrontare i passaggi più ostici applicando il principio della "semplificazione", enunciato dal grande pianista Alfred Cortot nel suo metodo[1]: qualunque difficoltà, ridotta alla sua cellula elementare, si stempera.

Cinque, quattro, persino tre note (che chiamerò cellule o micro-cellule), estrapolate dal passaggio analizzato ed eseguite prima lentamente e poi velocemente, sono un traguardo alla portata di tutti. Oltre alla semplice ripetizione del frammento, è utile studiarlo diversificando il ritmo e la proporzione dei valori musicali: questa ginnastica mentale, che abitua il cervello a dare impulsi motori sempre diversi in pochi decimi di secondo, permette di padroneggiare in breve tempo anche il passaggio più ostico.  Fondamentale è anche il concatenamento tra una micro-cellula e l'altra, poiché la consequenzialità del gesto è la condizione essenziale per un apprendimento veloce e sicuro [...]

[1] Nel corso di questi ultimi anni, uno dei progressi più significativi dell’insegnamento strumentale è consistito nel sostituire all’esercizio meccanico e lungamente ripetuto di un passaggio difficile, lo studio ragionato della difficoltà - riportata al suo principio elementare - che il passaggio stesso contiene.

Quando affrontiamo un passaggio che prevede il "legato assoluto", per prima cosa dimentichiamo che stiamo suonando uno strumento a percussione e affidiamoci al canto interno: evocare nella mente il tema ci aiuterà ad ottenere il tocco richiesto.

Poi concentriamoci sul peso naturale del nostro braccio, scaricato e sostenuto dalla mano, che lo trasferirà da un dito all'altro. Io chiamo questo procedimento "la staffetta", perché è analogo al passaggio del testimone nelle gare atletiche. Se la contrazione e di conseguenza il peso non si mantengono costanti tra un dito e l'altro, la percezione del suono legato s'interrompe e il "testimone" cade, se vogliamo continuare con la nostra metafora sportiva.

Per impadronirsi con sicurezza di questa tecnica, meglio iniziare con semplici esercizi, utilizzando le quattro dita, con esclusione del pollice, che per la sua forma rende più difficoltosa la trasmissione del peso senza soluzione di continuità [...]

Un altro suggerimento che do ai miei allievi è quello di affrontare un passaggio difficile considerandolo innanzitutto dal punto di vista musicale: molto spesso i grandi compositori suggeriscono, attraverso le indicazioni di fraseggio e di timbro, non solo l’interpretazione voluta ma anche la via per la risoluzione tecnica.

Analizzando diverse opere di Chopin, per esempio (ma questo principio è valido per molti altri autori classici e romantici), vediamo che le legature, gli staccati, gli accenti ci indicano esattamente il tipo di attacco al tasto da usare e il fraseggio desiderato; seguendo le sue diteggiature originali, sebbene talvolta non ci sembrino le più comode, otterremo senza sforzo il suono giusto; del resto, Chopin dedicò una parte consistente della sua vita all’insegnamento e i suoi Studi restano il nostro Vangelo tecnico [...]